Recensione "Leggere Lolita a Teheran" di Azar Nafisi

 



Leggere Lolita a Teheran di Azar Nafisi

Editore: Adelphi – Anno di pubblicazione: 2003 – Pagine: 379




Leggere Lolita a Teheran di Azar Nafisi, esce negli Stati Uniti il 25 marzo 2003, cinque giorni dopo la dichiarazione di guerra di George W. Bush all’Iraq di Saddam Hussein, rimanendo molte settimane nella classifica dei bestseller del New York Times Book Review, vincendo diversi premi e tradotto in 32 lingue. L’ho comprato attratta dal titolo e perché mi piacciono i libri che parlano di altri libri, di book club (conoscete quello di Reese Whiterspoon?).

Protagonista della storia e voce narrante è la stessa Nafisi, professoressa universitaria di letteratura anglo-americana. L’autrice, non potendo più esercitare liberamente la sua professione, decide di dimettersi e invitare clandestinamente, a casa sua, le sette allieve migliori del suo corso per leggere e commentare insieme quei romanzi che il regime ha deciso di vietare.

E così, discutendo di Nabokov, Fitzgerald e Jane Austen, Nafisi e le “sue ragazze” raccontano dell’Iran di Khomeini e di come le donne venivano punite se correvano sulle scale dell’Università, se ridevano o se si truccavano, se i lacci delle loro scarpe erano colorati…

Entrando a casa della loro insegnate, potevano finalmente liberarsi dall’oppressione di quel velo nero, scuotere i capelli, mostrare abiti colorati e smettere di essere dei fantasmi.

“Esposi loro i temi che avremmo trattato; il più importante era come questi capolavori dell’immaginazione potessero aiutare noi donne a sopravvivere in un contesto così opprimente.”
Letto così potrebbe sembrare un capolavoro, e a tratti lo è stato, purtroppo però la ridondanza della scrittura di Azar Nafisi ha rovinato tutto. Ho impiegato quasi tutto il mese di febbraio per leggerlo e più di una volta ho preferito fare altro piuttosto che impantanarmi tra pagine lente e tediose. Per me non c’è niente di più odioso e frustrante.

A fine lettura, dopo aver tirato non uno, ma un’infinità di sospiri di sollievo, ho provato a fare qualche ricerca in rete, per capire se veramente solo io lo avevo trovato così ostico. Beh, la soddisfazione è stata tanta quando ho scovato un’intervista fatta a Roberto Serrai, che lo ha tradotto per Adelphi, impiegandoci sette mesi e avvalendosi della consulenza di una sua studentessa iraniana. Parlandone lo ha descritto “un libro importante, ma non si può definirlo bello”. Secondo lui, in America hanno spinto molto per farlo uscire nel momento politico giusto. Adelphi voleva tagliare il 20% della storia e incaricò lo stesso Serrai di occuparsene. Venne informata l’autrice, che non solo rifiutò i tagli, ma comunicò la sua scelta poche settimane prima della consegna della traduzione, così da costringerlo a reinserire tutte le parti tagliate.

Che non fosse una tipa molto simpatica lo avevo intuito leggendo questo passaggio “[…] Ai tavoli si ride, si chiacchiera, si raccontano storie, più o meno come succede in qualsiasi parte del mondo quando si ritrovano insieme persone colte, argute, sofisticate.” Come se solo persone colte, argute e sofisticate (lei evidentemente si reputa tale), possano ridere e chiacchierare… È un continuo auto celebrarsi, dar sfoggio della propria cultura, che, almeno per quanto mi riguarda però, non sempre vuol dire saper scrivere e saper trasmettere emozioni.

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