Recensione Gli anni al contrario di Nadia Terranova
Recensione Gli anni al contrario di Nadia Terranova
Editore: Einaudi - Anno di pubblicazione: 2015 - Pagine: 144
Gli anni al contrario è il romanzo con cui Nadia Terranova ha esordito nella letteratura per adulti.
Più che un romanzo, lo definirei un lungo racconto. Una storia che sembra composta da tanti fotogrammi in bianco e nero, come le immagini proiettate dai vecchi Super 8.
Messina, 1977. Aurora e Giovanni si incontrano all’università. Lui ha bisogno di qualcuno che lo aiuti negli studi, lei, bravissima, ha capito fin da bambina “che grazie allo studio poteva conquistarsi una zona di tregua e il rispetto degli adulti, almeno fuori casa.” Giovanni è figlio dell’avvocato di sinistra Santatorre, Aurora del fascistissimo Silini. Due universi opposti, che in comune hanno la voglia di sfidare il mondo e magari provare a cambiarlo.
Quasi subito hanno una figlia, si sposano e vanno a vivere in un appartamento “in miniatura”, ma la loro relazione non reggerà al peso della continua insoddisfazione di entrambi. A Giovanni sembrerà di aver tradito i suoi ideali e i suoi compagni, Aurora si sentirà oppressa dal ruolo di madre, ma allo stesso tempo staccarsi dalla sua bambina le sembra impossibile.
A fare da sfondo al loro tira e molla, il rapimento di Aldo Moro, le Brigate Rosse, l’impegno politico. Anni contraddittori come la loro storia, che vorrebbe resistere e invece soccombe.
Sono figlia di quegli anni, perciò non ho ricordi diretti. Quello che so, lo devo ai racconti della mia famiglia, a qualcosa che ho letto, alla tv, al cinema, ecc. Visti con i miei occhi, sono anni per i quali avere nostalgia, perché pieni di fermento, di passioni, di voglia di fare, di cambiare; quelli venuti subito dopo invece hanno infranto quei sogni, vanificato quelle lotte, sono l’esatto contrario.
Nadia Terranova sfiora appena quanto avvenuto tra la fine degli anni 70 e gli anni 80, il suo romanzo non ha presunzioni storiche ma solo l’intenzione di raccontare le vicende di due ragazzi come tanti, che quegli anni li hanno subiti mentre erano impegnati a viverli. O forse ha voluto rivelarci qualcosa di più, qualcosa di sé.
“Dunque, ecco i miei occhi: quelli della picciridda che quando nacque spaventò suo nonno più di un mafioso e meno di un professore di matematica. Non sono seducenti come quelli di mio padre né lunari come quelli di mia madre; sono la mia valigia, la mia infanzia senza tempo, la certezza che me la caverò perché me la sono già cavata –sono semplicemente tutto ciò che mi serve per continuare a raccontare.”
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