Recensione La chiave di Sarah di Tatiana de Rosnay

 


La chiave di Sarah di Tatiana de Rosnay

Editore: Mondadori - Anno di pubblicazione: 2008 - Pagine: 321




La chiave di Sarah prende spunto dai fatti di Vel' d'Hiv avvenuti a Parigi tra il 16 e il 17 luglio 1942.

Più di 13000 ebrei, tra cui oltre 4000 bambini di età compresa tra i 2 e i 15 anni, furono arrestati e trattenuti nel Velodromo d’Inverno per cinque giorni in condizioni disumane, senza cibo, con a disposizione solo pochi bagni e un rubinetto d’acqua. Successivamente furono deportati prima nei campi di Drancy, Beaune-la-Rolande e Pithiviers, poi nel campo di sterminio di Auschwitz. Il rastrellamento non avvenne per mano delle SS tedesche, ma fu compiuto dalla stessa polizia francese, che autorizzò anche l’arresto dei minori di 16 anni che i tedeschi non avevano ordinato. Questa decisione fu presa dalla polizia francese perché altrimenti non avrebbero saputo come giustificare la separazione forzata dei genitori dai figli, separazione brutalmente avvenuta poi, quando furono deportati ad Auschwitz prima tutti gli adulti e solo successivamente i bambini.


Il Governo francese ha sempre cercato di negare e insabbiare le proprie responsabilità riguardanti questa orribile pagina di storia. Solo nel 1995, l’allora Presidente Jacques Chirac, commemorando il 53esimo anniversario del rastrellamento del Vel' d' Hiv ammise che 
“La Francia […]in quei giorni ha commesso l’irreparabile.” 
(Posizione vergognosamente rinnegata nel 2017 da Marine Le Pen).

Non sono contraria ai romanzi che mescolano finzione e realtà. È comunque un modo per avvicinare il lettore alla storia, per incuriosire e magari invogliarne l’approfondimento. Quando però la parte romanzata prende il sopravvento, come nel caso di questo libro, allora ho la spiacevole sensazione che la storia vera sia un mero espediente utilizzato per dare senso ad un libro altrimenti banale.

L’olocausto è un argomento fin troppo abusato, sia nella letteratura che nel cinema e per quanto io creda fortemente nel dovere morale di preservarne il ricordo, questo non ne giustifica la banalizzazione.

Nel libro ci sono due voci narranti. Quella di Sarah, una bambina di dieci anni che in piena notte viene prelevata insieme ai genitori dal loro appartamento di Parigi e quella di Julia, una giornalista americana che vive a Parigi da una ventina d’anni e che deve scrivere un articolo sull’anniversario del rastrellamento del Vel d’Hiv. Durante le ricerche per il suo pezzo, Julia si imbatte nella storia di Sarah e della sua famiglia. Cosa ne è stato di loro? Sarah potrebbe ancora essere viva? E perché ad un certo punto le vite della bambina e della giornalista sembrano avere qualcosa in comune?

L’inizio è intrigante e la lettura scorre veloce. Anche io insieme a Julia volevo sapere di più su Sarah e il suo destino. Quando però tutto si è svelato e la voce narrante è rimasta una soltanto, il mio interesse è scemato. Onestamente di Julia e del suo futuro non mi interessava un granché. Ho terminato la lettura senza più coinvolgimento e con un po’ di irritazione. Passare da pagine intrise di dolore e orrore a una storiella lieve ed abilmente confezionata mi ha davvero indispettita. La storia di Sarah ovviamente è inventata, ma altri bambini hanno vissuto realmente lo stesso incubo e non credo sia questo il modo migliore per tenere vivo un ricordo.

Inoltre, non capisco perché nel titolo del libro la bambina debba chiamarsi Sara se nel libro è riportato il nome Sarah!



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