Recensione "Casa di bambola" di Henrik Ibsen

 


Casa di bambola di Henrik Ibsen

Editore: Mondadori, Oscar Classici – Anno di pubblicazione: 2017 – Pagine: 104




Casa di bambola di Henrik Ibsen è un’opera teatrale composta da tre atti, che, in pochissime pagine, descrive perfettamente l’ipocrisia celata dietro a unioni apparentemente idilliache, condite da nomignoli urticanti e allegria esasperata ma che in realtà sono solo apparenza.

Nora e Torvald Helmer sono una comunissima coppia borghese di fine ‘800, con una bella casa, tre figli e una bambinaia. Nora è al settimo cielo. Torvald ha finalmente avuto una promozione nella banca presso cui lavora e perciò, da adesso in poi, potranno condurre una vita agiata e senza preoccupazioni. La donna però nasconde un segreto che minaccerà l’armonia della sua “perfetta” vita familiare.

Infatti, nel momento in cui, secondo Torvald, Nora non rispetta le regole e rischia di infangare il suo buon nome e la sua credibilità, smette di essere la sua “lodoletta canterina”, il suo “scoiattolo” e diventa immediatamente una donna irresponsabile, e persino pericolosa per l’educazione dei propri figli. L’unione perfetta crolla come un castello di carte, invece di affrontare insieme il problema, di infondere coraggio alla moglie e difenderla, Torvald le dà addosso, perché quello che più conta per lui è l’apparenza.

È a questo punto che Nora sembra svegliarsi dal torpore in cui ha vissuto in tutti questi anni e rendersi conto di avere accanto un estraneo che l’ha sempre considerata solo un bell’accessorio da mostrare in società.

Riesco ad immaginare il clamore che quest’opera suscitò nel 1879, quando ci fu la prima rappresentazione. Alla donna, in quel periodo, non era concessa la facoltà di pensiero e infatti Nora all’inizio non sembra farsene troppo un cruccio. Quando parla con la sua amica Kristine, ad esempio, si vanta senza tatto alcuno, anzi un po’ meschinamente, della gioia che prova adesso che potrà disporre di tanti soldi e di quanto sia bello “vivere ed essere felici”. Perché è così che si sente Nora: felice. Felice perché ha un marito con un’ottima posizione e che adesso potrà viziarla come desidera, felice perché tra un po’ sarà Natale e potrà fare ai suoi figli tanti regali senza preoccuparsi troppo di quanto spenderà, insomma, per lei la felicità è poter disporre di soldi e parlare di vestiti e viaggi per Torvald poter essere colui che elargisce soldi alla sua adorabile bambolina, il suo “bene più caro”.

La reazione di Nora, ad un certo punto, è qualcosa di inaspettato per l’epoca, anche se non sono del tutto convinta che sia il preludio ad un’emancipazione femminile. Non so se Ibsen, all’epoca, abbia rilasciato spiegazioni su quest’opera o sul personaggio di Nora, se così fosse, mi piacerebbe approfondirlo per capire se l’idea che mi sono fatta su un possibile seguito di questa storia è quella giusta o no.




Commenti

Post popolari in questo blog

Recensione "L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome" di Alice Basso - Garzanti

Recensione "Paradiso e inferno" di Jón Kalman Stefánsson

Recensione “Mare dentro: Lettere dall’inferno” di Ramon Sampedro