Recensione "Giochi d’infanzia" di Lynne Sharon Schwartz

 



Giochi d’infanzia di Lynne Sharon Schwartz 

Editore: Fazi - Anno di pubblicazione: 2005 - Pagine: 295


 


Lynne Sharon Schwartz è una scrittrice molto apprezzata negli Stati Uniti, ha tradotto, in lingua inglese, anche diversi autori italiani. A me era totalmente sconosciuta prima di leggere Giochi d’infanzia e tale presumo resterà visto che nonostante le diverse candidature a premi prestigiosi, in Italia i suoi libri non sembrano destinati ad essere pubblicati.

Renata lavora come linguista in una biblioteca di New York. Ha un rapporto quasi morboso con le parole, le pareti di casa sua sono tappezzate di frasi in varie lingue, che la maggior parte della gente non comprende e che, come nel caso di Jack, con cui ha una storia, spesso provocano soggezione. Le parole, il loro significato, per lei sono fondamentali, forse perché in loro trova quelle risposte che non sa dare alle molteplici domande che popolano la sua testa, forse perché le danno quella sicurezza che manca nella sua vita…o forse perché, non riuscendo a confidare a nessuno il proprio dolore, cerca conforto nelle parole altrui…

È mattina, sta andando al lavoro, è una bellissima giornata e decide di attraversare a piedi il ponte di Brooklyn. È martedì 11 settembre 2001 e all’improvviso la gente intorno a lei inizia a gridare. Quello che vede, all’inizio paralizza lei e le altre persone che in quel momento si trovano sul ponte, e subito dopo li costringe a tornare indietro, verso Brooklyn. Un rumore soffocato, quasi un ruggito, e poi solo fumo e cenere.

Gli avvenimenti di quel giorno sconvolsero il mondo intero, ma è sbagliato pensare che i sentimenti di chi lo ha vissuto in prima persona possano essere simili. Ogni individuo ha una propria storia, e l’impatto con una tragedia simile varia proprio in base al proprio vissuto.

Secondo Anobii, io questo libro lo avevo già letto nel 2015! La cosa strana, è che quando l’ho iniziato, e almeno per le prime 90 pagine, non ricordavo assolutamente nulla della trama. Poi andando avanti, qualcosa ho ricordato ma ho comunque continuato, rendendomi conto di come le impressioni e le emozioni che un libro ci trasmettono possono cambiare con il tempo o in base allo stato d’animo con il quale ci approcciamo alla lettura.

Nel 2015 l’ho descritto come “Un libro discreto, con una trama avvincente che però si perde in segreti e ricordi ripetuti fino allo sfinimento (di chi legge!)”. Ed è vero, ogni tanto ho avuto la sensazione che la storia si trascinasse troppo. Oggi però ho provato più empatia nei confronti di Renata e ho compreso di più la precarietà del suo stato d’animo, in perenne bilico tra dolore e passione.



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