Recensione “Mare dentro: Lettere dall’inferno” di Ramon Sampedro



Mare dentro: Lettere dall'inferno di Ramon Sampedro
Editore: Mondadori - Data di pubblicazione: febbraio 2006 - Pagine: 303




“Una testa viva e un corpo morto”, così si definisce Ramon Sampedro, dopo un tuffo in mare avventato che gli ha causato la frattura della settima vertebra cervicale rendendolo paralizzato. È il 23 agosto del 1968 e da quel momento fino al giorno della sua morte avvenuta nel 1998, Ramon non ha fatto altro che lottare contro un sistema che gli ha negato la libertà di porre fine alla sua esistenza.
“Se fossi stato un animale, mi avrebbero finito con uno dei più nobili gesti di umanità. Mi avrebbero dato il colpo di grazia perché sarebbe parso loro disumano lasciarmi in quelle condizioni per il resto della mia vita. A volte è una sfortuna essere una scimmia degenere”! 
In questo libro c’è la sua storia, ma non aspettatevi un romanzo, perché non lo è. Sono lettere e poesie che lui stesso ha scritto tenendo la penna tra i denti.

Un corpo immobile costretto per sempre a guardare gli altri dal basso, un corpo immobile che ama la vita sopra ogni cosa, e proprio per questo chiede di poter morire, di liberarsi da una sofferenza ingiusta, come lui stesso definisce la sua condizione e trovare finalmente un nuovo equilibrio.
Qualsiasi opinione si possa avere sull'eutanasia, questo di Sampedro è un libro doloroso, un testamento pesante, che raccoglie tutta la sofferenza di un uomo, ma anche la sua forza nel contrastare le paure egoistiche dei suoi familiari e l’ipocrisia delle leggi e della religione.

È un libro faticoso da leggere e ancor più da recensire e/o consigliare. Tutti gli aggettivi che di solito si usano per invogliare qualcun altro alla lettura in questo caso non hanno senso.
Ovviamente mi è piaciuto perché è vero, intenso e struggente però ogni pagina trasuda delle atroci sofferenze patite da Ramon, ogni pagina è una sua richiesta d’aiuto. Intorno ha tante persone che lo amano e lo accudiscono ma questo non allevia il suo dolore. Non poter fare una carezza alla donna che ama, non poter sentire la pioggia bagnargli il viso, poter guardare il cielo e il mare solo dal suo letto. Per lui tutto questo non è vita, ma l’inferno.

A fine lettura il dolore di Ramon è ancora presente, aleggia nell'aria che respiro e fa riflettere. 
“La vita deve avere un senso. E ha senso se speriamo qualcosa. Quasi mai, o mai del tutto, sappiamo cosa speriamo, ma finché abbiamo un corpo sensibile e vivo che ci permette di godere del senso di libertà che ci dà il suo movimento, avremo sempre questa sensazione di poter andare da un orizzonte all'altro, in cerca di quel qualcosa di indefinito e meraviglioso che ci libererà dalla routine e dalla fatica monotona di lottare per vivere in modo normale”.

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