Recensione "Marie-Claire" di Marguerite Audoux

 


Marie-Claire di Marguerite Audoux

Editore: Elliot – Anno di pubblicazione: 2015 – Pagine: 141






Non tutti gli scrittori godono di fama e agiatezze. È il caso di Marguerite Audoux che, orfana di madre a soli tre anni e abbandonata dal padre, cresce in un convento di suore, finendo a fare la pastorella e rammendando biancheria nella campagna francese e poi sarta a Parigi. Qui conoscerà alcuni scrittori, tra i quali Octave Mirbeau, che notò delle potenzialità in un suo scritto autobiografico.

Marie-Claire, questo il titolo del romanzo, venne pubblicato, e nel 1910 vinse il premio Fémina, dando a Marguerite Audoux una discreta celebrità. Questo non le permise però di migliorare la sua situazione. Dopo questo, scrisse altri romanzi, ma senza successo. Condusse una vita solitaria, afflitta da una malattia che non le permise più di leggere e morì in povertà come aveva sempre vissuto.

Marie-Claire, alter ego della sua autrice, è un personaggio che suscita tenerezza e compassione. Ha un atteggiamento quasi remissivo di fronte agli eventi, soffre dell’abbandono di quei pochi affetti che la vita le offre e si abbandona al suo destino senza esserne mai artefice. L’unica passione che si concede è quella per la lettura

“Amavo quel libro, per me era come un giovane carcerato a cui andavo a far visita nel ripostiglio”.

Quello scritto dalla Audoux è un romanzo senza pretese, dalla prosa sobria ed essenziale ma che descrive magnificamente la vita rurale della Francia dell’epoca e i pudori propri di quegli anni. Non è una storia dalla quale ci si aspetta un lieto fine, ma, per usare le parole dello stesso Mirbeau che ne ha scritto la prefazione, “i buoni libri […] riescono sempre a rivelarsi”.

 



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