Recensione "Le otto montagne" di Paolo Cognetti

 




Le otto montagne di Paolo Cognetti

Editore: Einaudi – Anno di pubblicazione: 2016 – Pagine: 199




Con questo romanzo Paolo Cognetti ha vinto il Premio Strega nel 2017, ma ho deciso di leggerlo solo adesso perché ho saputo che ne verrà tratto un film.

Pietro è un ragazzino schivo e solitario; vive a Milano, sua madre lavora in un consultorio e il padre come chimico in una fabbrica. I suoi genitori si sono trasferiti in città dalle Dolomiti e fanno fatica a adattarsi al traffico e al cemento. Il giorno in cui scoprono Grana, un paesino ai piedi del Monte Rosa, capiscono infatti che è li che vogliono rifugiarsi ogni volta che possono. Lì conosce Bruno, hanno la stessa età ma mentre per Pietro la montagna è sinonimo di vacanza, libertà e scoperte per Bruno è fatica e sacrificio.

“Ogni volta che tornavo lassù mi sembrava di tornare a me stesso, al luogo in cui ero io e stavo bene.”

Le otto montagne è una storia di amicizia tra uomini, di quelle che non temono la distanza e il trascorrere del tempo, tra uomo e natura, definita così solo da chi vive in città, ma è anche la storia di una famiglia, di genitori apparentemente assenti, che non riescono a comunicare ma che a modo loro trasmettono qualcosa, a piantare radici anche nei terreni meno adatti.

“Siete voi di città che la chiamate natura. È così astratta nella vostra testa che è astratto pure il nome. Noi qui diciamo bosco, pascolo, torrente, roccia, cose che uno può indicare con il dito. Cose che si possono usare. Se non si possono usare, un nome non glielo diamo perché non serve a niente.”

La vera protagonista del romanzo però è la montagna, con i suoi paesaggi che cambiano in base alla stagione, così dominante da forgiare il carattere di chi la vive. Cognetti è essenziale nelle descrizioni, ma allo stesso tempo lirico e malinconico. Non credevo di poterlo apprezzare, perché non ho mai avuto un gran trasporto per la montagna; invece, le pagine scritte da Cognetti sono state un piacevole rifugio.

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